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Oggi torniamo a indagare sulla questione “incubo parcheggio”.
La ricerca del parcheggio in una città grande e caotica è sempre un’immensa perdita di tempo e una grande causa di stress, ma forse dall’America arriverà presto un’app che potrebbe cambiare le cose.
Si chiama MonkeyParking ed è stata inventata proprio in Italia, a Roma, da Paolo Dibrowolny, Federico Di Legge e Roberto Zanetti. MonkeyParking permette di sapere in anticipo se nei dintorni c’è qualcuno che sta per liberare un parcheggio, e di fare un’offerta per ottenerlo, oppure permette di “vendere” il proprio posto prima di lasciarlo.
All’inizio non prevedeva l’uso del denaro “reale” ma solo un sistema di “crediti banana” che valevano solo per scambiare o comprare un parcheggio, oppure per ottenere sconti e pop corn al cinema. Da aprile 2014 l’app è sbarcata a San Francisco, dove stanno implementando un sistema di pagamento vero e proprio.
Ma com’è nata quest’idea che sembra essere davvero innovativa e rivoluzionaria? I fondatori rispondono: “Dalla sensazione provata quando stai cercando parcheggio e chiedi a un passante se sta per lasciare il posto. Se lui ti risponde “sì”, la felicità che provi ad aver risparmiato ore a girare per cercare parcheggio è immensa. Volevamo ricreare un’app che funzionasse allo stesso modo”. Ed effettivamente la felicità del parcheggio che si libera è una cosa che conosciamo tutti molto bene!
Al momento MonkeyParking, con il suo inconfondibile logo a forma di scimmietta in giacca e cravatta, sta riscuotendo un discreto successo ma è ancora troppo presto per fare dei bilanci. “Abbiamo avuto anche picchi di 500-600 download al giorno, ma è difficile valutare quante persone diventino utilizzatori attivi”, spiega Paolo, uno dei giovani fondatori.
Naturalmente quest’app sta sollevando anche qualche polemica e qualche (lecita) domanda, prima fra tutte: è legale? Il parcheggio infatti è parte del suolo pubblico e in molti si chiedono se sia “corretto” e soprattutto possibile “mettere in vendita” una parte di suolo pubblico, fosse anche solo per qualche ora. Il dibattito è molto acceso online, sui social network, tra i più giovani che hanno accolto l’app con grande entusiasmo e tra chi ha invece una mentalità più conservatrice. La risposta per ora sembra abbastanza controversa e in via di definizione. Il CEO e fondatore Paolo ha risposto così alle polemiche: “Noi mettiamo in contatto le persone e permettiamo loro di scambiarsi e vendere la preziosa informazione sul fatto che si sta liberando un posto. Chi lascia un parcheggio sarà incentivato a farlo sapere perché avrà una ricompensa. Chi cerca posto, invece, guadagnerà tempo. La nostra app semplifica la vita”.
E se dovesse prendere piede, anche tra le polemiche, la vita la semplificherebbe veramente! Per ora l’app è disponibile solo a San Francisco e a Roma, ma sembra che molte richieste siano arrivate per lanciare l’app anche in altre città. Al momento i 3 ragazzi di Monkey Parking hanno organizzato un contest sul sito ufficiale dell’app dove tramite un sistema di voti si deciderà la prossima città in cui sarà lanciata l’app. Per ora le capolista sono New York e Boston, tra le città europee spiccano invece Berlino e Amburgo. Il prossimo step sarà inoltre rendere disponibile Monkey Parking non solo per iPhone ma anche per Android e Google.
Staremo a vedere se il sistema del “parking sharing” prenderà piede, scavalcando dunque un altro ostacolo della mobilità di tutti!
photocredit: Ohgizmo.com
Chi usa l’auto per andare al lavoro tutti i giorni lo sa bene, soprattutto se vive in una grande città: il traffico urbano può trasformarsi in un vero e proprio incubo a occhi aperti! Pedoni distratti, semafori, incroci, lavori stradali e, naturalmente, gli altri automobilisti che sembra facciano di tutto per farci innervosire. Certo, guidare è anche e soprattutto un piacere, ma difficilmente muoversi a Milano, a Roma, a Napoli alle 8 del mattino risulterà un’esperienza rilassante.
Chissà quante volte vi è capitato di pensare “Ah, se la mia auto si guidasse da sola…” e pare che anche Google, il colosso di Mountain View, ci abbia pensato. Già da tempo infatti Google ha presentato la Self Driving Car, letteralmente “L’auto che si guida da sola”. Il team Google dedicato alla Self Driving Car ha percorso migliaia di chilometri sulle strade californiane in prossimità dell’azienda, al fine di mettere alla prova il sistema e perfezionarlo. Naturalmente percorrere un tratto di strada in città è molto complicato, a causa soprattutto delle centinaia di elementi in movimento e delle regole della strada.
Gli ingegneri di Google infatti si sono concentrati sul miglioramento del software che identifica, riconosce e distingue tutti gli oggetti e i soggetti che si possono incontrare per strada: cartelli, pedoni, autobus, ciclisti, eccetera. Guardando il video che mostra l’esperimento si rimane basiti dalla capacità dell’auto di rallentare e cambiare traiettoria in prossimità del pericolo o dell’ostacolo, senza che sia mai messa a rischio l’incolumità dei passeggeri e degli altri automobilisti.
Cliccate sul video per vedere la prova su strada della Self Driving Car powered by Google: https://www.youtube.com/watch?v=dk3oc1Hr62g
Naturalmente l’esperimento di Google è ben lontano dall’essere concluso, come conferma lo stesso responsabile del progetto Chris Urmson: “I problemi da risolvere sono ancora tanti, prima di testarla in altre città”.
Google non è l’unica grande azienda che si è lanciata nell’esperimento di creare un’automobile che sia in grado di guidarsi in totale autonomia: alcune tra le più grandi case automobilistiche come Volvo, Nissan, Mercedes e Audi stanno sviluppando dei progetti, e anche l’Italia ha qualcosa da dire sull’argomento. Il laboratorio VisLab dell’Università di Parma prossimamente presenterà l’ultima versione del nuovo prototipo di Deeva.
La peculiarità di questa Self Driving Car italiana sta tutta nell’impiego di sensori a basso costo e la loro profonda integrazione nella carrozzeria e nelle 20 telecamere installate a bordo che garantiranno una visione in 3D dell’intero perimetro dell’auto.
Il progetto italiano comunque affonda le sue radici negli anni ’90, quando gli sperimentatori operarono su un vecchio veicolo furgonato FIAT e lo resero capace di rilevare gli indicatori di corsia e le altre vetture presenti sulla carreggiata. Naturalmente dopo vent’anni le tecnologie si sono evolute, avvicinandosi sempre di più al concetto di Intelligenza Artificiale.
Ma l’Intelligenza Artificiale potrà mai sostituire l’uomo nella guida? Avrà mai lo stesso intuito e la stessa capacità di fare fronte agli imprevisti e alle difficoltà? Per avere risposta a questi interrogativi è probabile che dovremo aspettare ancora molto tempo, ma chissà che tra qualche decennio il sogno dell’auto che si guida da sola in totale comfort e sicurezza non diventi una realtà alla portata di tutti.
photocredit: Motortrend.com
Ve lo ricordate il 2004? I social network iniziavano appena a prendere piede negli USA (risale a quest’anno infatti la nascita di Facebook), non esistevano gli smartphone e milioni di telespettatori stanno incollati allo schermo per vedere l’ultima, divertentissima puntata della serie cult anni ’90 Friends. Nel maggio 2004 la società Olandese TomTom International BV (nata nel lontano 1991, come azienda produttrice di software) lancia il suo prima sistema di navigazione satellitare per automobile, il TomTom Go.
Prima degli smartphone con GPS e prima di Google Maps il TomTom è stato “il navigatore” per antonomasia: il “TomTom” appunto. Nel 2004 uscì sul mercato a un prezzo competitivo e specifiche tecniche che ora fanno quasi sorridere. Il primo TomTom disponeva infatti di uno schermo da 3,5 pollici e 32 MB di RAM! Era piccolo, ma utilissimo, e divenne immediatamente un oggetto a cui nessuno poteva più rinunciare.
Sono passati 10 anni il TomTom è diventato davvero grande: ad oggi sono stati venduti 75 milioni di navigatori satellitari a marchio TomTom in 36 paesi e in totale la casa madre calcola che siano stati percorsi ben 280 miliardi di chilometri con la sua guida, corrispondente a un lasso di tempo di ben 700.000 anni. Sono numeri impressionanti che, ovviamente, non hanno grande valenza scientifica, ma rendono bene l’idea di come l’azienda olandese sia diventata di primo livello, almeno nel suo settore, e abbia cambiato per sempre il concetto di guida. Vogliamo dare un’occhiata agli altri numeri, decisamente più divertenti? Sempre secondo la società pare che in 10 anni il caro TomTom abbia portato in vacanza circa 35 milioni di turisti, mentre le persone portate sul luogo del loro primo, decisivo appuntamento sarebbero circa 3 milioni.
La società si vanta anche simpaticamente del numero di divorzi evitati. Sì, perché le coppie lo sanno: anche i più affiatati in macchina non possono fare a meno di evitare battibecchi e litigi in merito alla strada da percorrere! TomTom sostiene di aver salvato ben 13 milioni di matrimoni, mettendo tutti d’accordo. Del resto come si fa a resistere a “Jane” e “Tim”, ovvero la voce femminile e maschile del navigatore? Ci hanno guidato verso le nostre destinazioni, diventando dei veri e propri compagni di viaggio! Anche alcuni tra i più noti personaggi del cinema e del mondo dello spettacolo hanno prestato la voce per diventare speaker d’eccezione dei TomTom Go: tra i più celebri ricordiamo Darth Vader, e il mitico Homer Simpson!
Ad oggi il TomTom è ancora il navigatore satellitare più celebre al mondo e la strada percorsa non si conta solo in chilometri, ma anche e soprattutto nei grandissimi progressi tecnologici fatti in questi 10 anni: per esempio le funzioni aggiuntive che permettono di ricevere informazioni sul traffico molto dettagliate (come le cause dei ritardi e degli ingorghi), il servizio meteo che fornisce previsioni locali giornaliere e/o fino a cinque giorni, la funzione Google che permette di effettuare delle ricerche tramite il motore di ricerca, e infine Speak and go, per eseguire più di mille comandi vocali senza dover usare le dita sullo schermo.
Tanti percorsi, tanti progressi, tanti viaggi e tante persone diverse. I primi 10 anni di TomTom sono stati un vero successo, noi gli facciamo gli auguri di compleanno e gli auguriamo mille di questi chilometri!
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Un giorno il cavallino conobbe la mela e… No, non è una favola, anche se potrebbe sembrarlo. Certamente potrebbe essere un buon film di fantascienza, dato che la notizia è stata ufficializzata di recente e ha fatto il giro del mondo: la tecnologia di Apple è sbarcata sulla Ferrari. Al Salone di Ginevra infatti è stato presentato il nuovo sistema multimediale dedicato alle vetture, l’iOS in the car.
Secondo il Financial Times non solo il cavallino ha mostrato interesse per la nuova tecnologia: anche Mercedes e Volvo hanno iniziato a lavorarci. L’alleanza tra Apple e Ferrari, comunque, è il risultato di una relazione che dura da molto tempo. Eddy Cue, il celebre vice presidente di Apple, è infatti un appassionato della Ferrari, così appassionato che siede nel consiglio di amministrazione della celebre casa automobilistica. Il sistema operativo “iOS in the car” è nato per integrare svariate funzioni di iPhone e iPad all’interno delle vetture sfruttando i comandi vocali di Siri.
Attraverso il comando vocale sarà possibile controllare la musica, i messaggi, le chiamate e la navigazione satellitare… L’obiettivo è quello di cambiare definitivamente il nostro modo di guidare e di considerare l’oggetto ‘automobile’. Presentata al Salone di Ginevra, la Ferrari California T è dotata del sistema CarPlay by Apple, considerato il sistema più semplice e sicuro per utilizzare il proprio iPhone in auto. La gestione del dispositivo avviene attraverso l’interfaccia infotainment oppure tramite il controllo vocale sul volante. Il sistema costituisce un enorme contributo alla sicurezza, l’uso del telefono viene ottimizzato e grazie alla gestione vocale del CarPlay diminuisce la possibilità di distrazioni.
Naturalmente la partnership tra la casa di Maranello ed il colosso di Cupertino non si fermerà qui, sempre più indiscrezioni sorgono anche riguardo alla tecnologia V2V. Due brand come Apple e Ferrari non si faranno certo scappare l’occasione di immettersi in quello che sembra a tutti gli effetti il mercato del futuro, l’obiettivo del progetto sembra proprio quello di connettere le auto a internet assemblando al loro interno sofisticati dispositivi, personal computer e sensori che producono “soluzioni per la mobilità”.
La partita sulla “smart car” o “connected car” è infatti del tutto aperta: la mossa di Apple con Ferrari potrebbe essere la risposta alla partnership tra Google e altre grandi case automobilistiche come Audi, General Motors e Honda; senza dimenticare che Ford si è di recente “alleata” con Microsoft presentando il sistema Sync, anche questo completamente basato su controllo vocale e touch sceen. La partnership tra Ferrari ed Apple però è quella che più di tutte ha suscitato scalpore, forse perché l’idea di un’unione tra la grande eccellenza americana e quella italiana fa sperare in un trionfo globale della tecnica, dell’innovazione e della bellezza.
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Anche voi da bambini immaginavate che nel 2000 avremmo viaggiato tutti sulle auto volanti? Per questo probabilmente ci sarà da aspettare ancora qualche decennio, ma è certo che le “auto parlanti” stanno già diventando una realtà. Tranquilli, non si tratta di un film di fantascienza: per “auto parlanti” intendiamo quelle che dispongono della tecnologia “vehicle-to-vehicle”, conosciuta come V2V.
Infatti il Governo Americano e la National Higway Traffic Safety Administration (l’ente statunitense per la sicurezza stradale) hanno comunicato nel febbraio 2014 l’intenzione di rendere obbligatoria la tecnologia V2V, che sarebbe in grado di mettere in comunicazione tra loro le auto circolanti nella stessa zona. Del resto siamo nell’epoca dei social network, e non è difficile immaginare che anche le auto un giorno potrebbero “parlare” tra loro a distanza.
Ma come funziona esattamente? Il sistema radio V2V è abbastanza simile al WiFi e consente di inviare segnali elettronici fino a quasi 300 metri di distanza da un veicolo all’altro, permettendo quindi ai conducenti di essere avvertiti di un pericolo in arrivo anche se non è presente nel loro campo visivo: consente alle auto di condividere velocità, posizione, direzione di marcia, frenate e perdita di stabilità. Sembra che se il V2V prendesse piede, potrebbe prevenire tra il 70 e l’80 percento degli incidenti stradali, avendo quindi un impatto enorme sul concetto di sicurezza, così come l’hanno avuto l’uso delle cinture e dell’air bag.
Il segretario dei trasporti Anthony Foxx ha infatti proposto l’adozione del V2V, e tale normativa verrà sottoposta a un periodo di consultazione pubblica. “La tecnologia vehicle-to-vehicle rappresenta la prossima generazione dei miglioramenti nel campo della sicurezza automobilistica”, ha dichiarato Foxx.
Gli Stati Uniti sono dunque al lavoro per definire uno standard comune di applicazione della tecnologia V2V che potrebbe diventare obbligatoria già nel 2017. In questo senso il primato di innovazione tecnologica va certamente alla casa automobilistica Ford che già da tempo sta sviluppando dei sistemi di comunicazione automatica che permettano alle auto di rilevare un pericolo e, cosa ancora più importante, comunicarlo alle altre vetture che si trovano nelle vicinanze.
Le complicazioni per quanto riguarda la diffusione di questa tecnologia sono legate a dubbi sul tema della privacy, anche se, secondo quanto dichiarato, la tecnologia V2V non è in grado di identificare i veicoli, ne tantomeno di registrare informazioni personali. Le aziende inoltre vogliono una normativa chiara che esoneri i produttori da responsabilità in caso di incidenti con auto dotate di tecnologia V2V. Il piano normativo fortunatamente sembra avviato, anche se per avere informazioni più concrete dovremo aspettare ancora qualche mese. A metà del 2014 infatti dovrebbero essere resi pubblici i risultati del primo test su larga scala con 3000 veicoli V2V effettuato nel 2012, e sarà così possibile valutare la reale efficacia del sistema.
photocredit: digital trends
Intelligenza artificiale, realtà aumentata, superdisplay… Tranquilli, non è un film di fantascienza anche se potrebbe sembrarlo! Nel paese del Sol Levante nasce una concept car, a metà fra shuttle, biga 2.0 e moto, in grado di connettersi allo stato d’animo del conducente.
La macchina del futuro è targata Toyota. Dal 2004 questa casa automobilistica è padrona del mercato Giapponese, e ha sempre dimostrato di essere all’avanguardia in fatto di nuove tecnologie. Il nome del modello è FV2, acronimo di Fun Vehicle 2, ed è già stata svelata al Salone di Tokyo 2013.
FV2 non ha il volante, e si guiderà con i movimenti del corpo. E’ lunga tre metri, larga poco più di uno e mezzo ed è rigorosamente monoposto. Anche il colore e le immagini presenti sulla scocca possono essere cambiate a proprio piacimento “creando una relazione sempre più stretta tra veicolo e guidatore”, sostiene Toyota. Altro particolare: le ruote sono sempre quattro ma sono disposte diversamente dalle auto tradizionali: sono infatti disposte davanti, ai lati e dietro.
Questo gioiello della tecnica è pensato per essere guidato in piedi: dopo l’accensione la calotta anteriore si alza e fa da scudo durante la marcia. Le tecnologie 2V (Vehicle to vehicle) e V2I (Vehicle to infrastructure) consentono a FV2 di muoversi in sicurezza e di fornire ogni tipo di avviso e assistenza alla guida. Non può mancare naturalmente il display in realtà aumentata, collocato all’interno del parabrezza.
Il veicolo del futuro dispone inoltre di quella che Toyota chiama “connessione emotiva”, derivata dalla tecnologia Toyota Heart Project: sperimentazione sull’intelligenza artificiale e sull’uomo robot. FV2 infatti è in grado di raccogliere informazioni sull’umore e sullo stato mentale del pilota attraverso un sistema di riconoscimento facciale e vocale. Queste informazioni accorpate ai dati di guida e allo storico degli spostamenti permettono a FV2 di suggerire destinazioni e assistere il conducente, diventando una specie di co-pilota in grado di evolvere e migliorarsi secondo le esigenze del conducente.
L’obiettivo infatti è quello di creare una completa simbiosi tra l’automobile e chi la guida. FV2 è stata presentata al salone di Tokyo come l’auto che punta a “migliorare l’esperienza di guida connettendosi fisicamente ed emotivamente con il conducente e diventando più divertente da guidare a mano a mano che viene condotta”.
State già sognando di guidarla? Naturalmente per ora non è possibile, ci vorrà ancora qualche tempo affinché simili gioiellini possano circolare liberamente sulle strade e siano alla portata di tutti. Ma per i più impazienti Toyota ha pensato a un’applicazione che mostra i primi dettagli del progetto e della “guida intuitiva”. Un mini-game a tutti gli effetti, visto che è possibile guidare la concept car attraverso vari tracciati e percorsi. L’applicazione è già disponibile su AppStore e Google Play per offrire a tutti i curiosi l’opportunità di provarla, seppure in versione virtuale.
Sicuramente Toyota FV2 è un prodigio di tecnologia, innovazione e voglia di sperimentare. E’ possibile che da questo prototipo, che difficilmente verrà utilizzato comunemente, emergano presto nuove idee che renderanno più piacevole, sicura e divertente anche la guida di modelli più tradizionali e possibilmente non monoposto, adatti a ogni tipo di esigenza. L’idea di avere un’automobile che “ci capisce” e risponde alle nostre esigenze è infatti molto piacevole, speriamo diventi presto realtà e non solo un prototipo da esibire nei saloni dedicati.
photocredit: Motori Online
La parola “aptico” deriva dal greco apto, che significa “tocco”. Parlando di interfaccia aptica intendiamo un dispositivo che permette di manovrare un robot, reale o virtuale, e di riceverne sensazioni tattili in risposta: ad esempio un joystick vibrante, o un display in braille utilizzato dai non vedenti. Ma come tutto questo può essere utile per migliorare la sicurezza alla guida?
Al giorno d’oggi siamo circondati da stimoli che in automobile diventano una facile distrazione: cellulari, smartphone, tablet, radio e naturalmente navigatori satellitari GPS. Per non parlare dei GPS installati direttamente sullo smartphone, che possono diventare una pericolosa fonte di distrazione mentre si cerca una strada alla guida. Guardare le indicazioni stradali sullo schermo dei navigatori oppure ascoltarne le istruzioni pone infatti il nostro cervello in una situazione di forte stress.
Per fortuna i ricercatori della Carnegie Mellon University e AT&T Labs hanno realizzato uno studio che indaga sulle potenzialità del “volante aptico”. I volanti vibranti non sono una novità: alcune case automobilistiche li hanno già impiegati per attirare l’attenzione di chi è alla guida. Ma il volante aptico in fase di sviluppo da parte di AT&T è in grado di “pulsare” in molti modi: riesce infatti a far percepire la direzione in cui svoltare basandosi sul percorso da effettuare. Lo studio è stato molto fruttuoso sui guidatori giovani che hanno dimostrato di sapersi adattare al volante aptico, i conducenti più giovani infatti si sono distratti meno ricevendo un feedback tattile dal volante vibrante. Nei conducenti più anziani purtroppo ha addirittura complicato la situazione, ma è emerso che gli effetti migliori sono stati ottenuti rafforzando la vibrazione del volante con segnali uditivi.
Anche nell’università dello Utah è in corso uno studio simile: un gruppo di ricercatori ha infatti inventato e testato un’interfaccia aptica per i volanti delle automobili, attraverso la quale fornire con sensazioni tattili le informazioni di guida suggerite da un Personal Navigation Device. Il fortunato guidatore non deve fare altro che puntare le dita delle mani su due Track Point provenienti da un computer. Quando il sistema di navigazione indicherà di svoltare a destra i due dispositivi touch tireranno gentilmente verso destra la pelle delle punte delle dita, guidando il movimento delle mani e delle braccia verso la direzione indicata. In questo modo, non c’è il rischio di essere distratti da un evento che avviene dentro o fuori dall’abitacolo e il sistema GPS non rischia di essere intrusivo e stressante per il cervello.
Le tecnologie aptiche sono attualmente uno dei maggiori settori di ricerca nella robotica, e anche la casa automobilistica Ford ha deciso di non farsi scappare l’opportunità di innovarsi. Zach Nelson, giovane ingegnere Ford, ha realizzato un prototipo di cambio manuale in grado di avvisare il conducente quando è il momento di inserire una nuova marcia, tramite vibrazione.
La piattaforma software integrata su alcuni dei modelli più recenti della casa Ford si chiama OpenXC ed è in grado di fornire parametri e dati in tempo reale su tutto ciò che riguarda il funzionamento del motore, come il numero di giri, la coppia erogata, la velocità ecc. Queste informazioni vengono elaborate dal sistema messo a punto che, confrontandole con quelle relative alla marcia inserita, è in grado di riconoscere il momento giusto per cambiare marcia.
Difficilmente questi due progetti avranno immediatamente uno sbocco commerciale sulle vetture, ma certo dimostrano come l’ingegno, la fantasia e l’innovazione siano sempre al servizio degli automobilisti per garantire una guida smart che sia anche sicura sotto ogni punto di vista.
photocredit: Wired
Avete sempre sognato di viaggiare per tutta l’Australia? Fatelo con un auto a energia solare! Il World Solar Challenge è la competizione dedicata alle auto ad energia solare, e prevede l’attraversamento dell’Australia. Si tratta di una competizione amichevole: tutte le squadre partono da Darwin con l’obiettivo di arrivare ad Adelaide, circa 3.000 chilometri più a sud.
Il viaggio prevede sette punti di controllo obbligatori, in cui i team manager possono aggiornarsi con le ultime informazioni sul meteo e la loro posizione in classifica. Ai check point inoltre le squadre possono svolgere elementari operazioni di manutenzione: controllo della pressione degli pneumatici e pulizia del veicolo.
Quest’anno tra i suggestivi paesaggi australiani è arrivata anche una macchina italiana, progettata presso l’Università di Bologna. Si tratta di Emilia 3, guidata dal team tutto italiano Onda Solare, avanguardia tecnologica per un’Italia che insegue i suoi sogni!
L’undici ottobre 2013 alle 9 del mattino (ora italiana) Emilia 3 è arrivata ad Adelaide, tagliando il traguardo finale del World Solar Challenge e classificandosi in decima posizione su ventidue partecipanti, appena dietro ai top team giapponesi e olandesi e accanto ai team di alcune tra le più prestigiose università del mondo. L’impresa è stata raggiunta grazie a un progetto multidisciplinare che ha coinvolto decine di persone.
Ma Emilia 3 non fa altro che proseguire una lunga tradizione di veicoli solari italiani che vanno in Australia, alla ricerca di una competizione “pulita”, proprio come l’energia che intendono promuovere. La prima volta fu grazie all’abruzzese “Futura” nel 1995. Il primo prototipo (Emilia 1) ha affrontato la competizione nel 2005, classificandosi al terzo posto, e nel 2001 è stata invece la volta di Emilia 2.
Emilia 3 riesce a raggiungere i 110 chilometri orari, spinta solo dai raggi del sole. Si tratta di una macchina monoposto, dal peso di 200 chilogrammi, munita di 391 celle fotovoltaiche monocristalline ad alta efficienza. Il corpo del veicolo è stato realizzato in fibre di carbonio, e tutti i materiali (ad esclusione della cella fotovoltaica e le batterie) sono stati realizzati in Italia, a Bologna. Nello sviluppo strutturale e meccanico di Emilia 3 sono state impiegate alcune tra le più avanzate tecniche di progettazione e sono state introdotte alcune delle più innovative ed avanzate tecniche per produrre componenti ad elevato contenuto tecnologico. La molla a balestra è uno dei tanti componenti che, grazie alla stretta collaborazione tra i ricercatori dell’Università di Bologna ed il team di Emilia 3, sono stati sviluppati coniugando innovazione, rigore scientifico ed avanzate pratiche costruttive. A proposito del pannello solare di Emilia 3, la ricerca è stata incentrata sul massimo rendimento delle centinaia di celle fotovoltaiche che convertono l’energia del sole in energia elettrica.
Sicuramente una competizione ambiziosa per i giovani italiani che vi hanno partecipato. Per ora le automobili a energia solare sono un prototipo, e difficilmente le vedremo affermarsi sulle nostre strade nei prossimi dieci anni. In ogni caso questo prodigio di tecnica, ricerca e innovazione è frutto delle incredibili esperienze e coraggio di nostri connazionali, che si sono impegnati (e continueranno a farlo!) per riportare l’eccellenza italiana al primo posto nel mondo.
Il prossimo appuntamento World Solar Challenge sarà quasi sicuramente in Sudafrica, e noi saremo in prima fila a fare il tifo per il team Onda Solare e, naturalmente, Emilia 4!
photocredit: Onda Solare
Dite addio ai regali tradizionali!
Negli ultimi anni il Natale si è fatto decisamente tecnologico e digitale!
La lista che segue propone una serie di regali tecnologici dal costo inferiore ai 150 euro, perché non è assolutamente vero che tutta la tecnologia è cara. Esistono oggetti graziosi, utili e innovativi che permettono infinite funzionalità e non necessitano di un salasso al portafogli. Data la natura spesso ‘non fisica’ (digitale) dei prodotti ad alta tecnologia, alcune delle nostre proposte regalo non sono nemmeno ‘oggetti’, ma esperienze che fanno più bella la vita di tutti i giorni.
Che ne pensate, ad esempio, di un abbonamento a Spotify? La rivoluzionaria applicazione permette di ascoltare milioni di brani, in pratica l’intera discografia mondiale, secondo una modalità streaming on demand. Per questo Natale 2013 è possibile regalare degli abbonamenti a pacchetto che durano da un mese fino a un anno, e sarà come regalare una quantità infinita di CD!
Sempre in tema musica citiamo le cuffie wireless, apprezzatissime dai giovani e da chi ha spesso la casa un po’ affollata. Questo tipo speciale di cuffie infatti permette di ascoltare la musica o la televisione anche a distanza, senza disturbare le altre persone presenti in casa. La situazione tipo? Giovane mamma in cucina, il figlio neonato fa un pisolino. Per la giovane mamma è possibile continuare ad ascoltare la televisione, senza alzare il volume e senza recare disturbo al piccolo.
Per gli amanti dei piccoli amici a quattro zampe invece suggeriamo un collare GPS. Questo collare contiene una sim telefonica e si gestisce attraverso una app, e permette di controllare la situazione del cane e di rintracciarlo ovunque e subito. Dite addio alle corse nel cuore della notte per recuperare il monello!
Tra i regali tech più acquistati e desiderati non è possibile non citare gli eReader, che stanno definitivamente rivoluzionando il nostro modo di approcciarci alla lettura. Ne esistono di diversi tipi e per diverse fasce di prezzo. La cosa che tutti hanno in comune è la possibilità di avere comodamente in borsa una biblioteca sterminata, leggeri e maneggevoli infatti contengono migliaia e migliaia di libri.
E se i vostri amici hanno già un eReader potete ovviamente regalare non un semplice libro, ma una collezione intera di eBook, che singolarmente costano di solito pochi euro.
Infine non possiamo farci mancare una dritta sull’accessorio tech preferito dai geek (e dai maldestri!): una tastiera leggera, ultra sottile, pieghevole ma soprattutto impermeabile grazie alla struttura in silicone! Potrete finalmente fare felice quel cugino manager che a ogni Natale si rovescia addosso qualcosa.
Il tech non vi convince del tutto? Desiderate un regalo più romantico, ma comunque originale e acquistabile online? Per questo Natale regalate una stella! Sì avete letto bene. Su questo sito http://www.globalstarregistry.com/it è possibile acquistare il regalo più scintillante e prezioso di tutti: potrete dare il nome a una stella, magari il nome della vostra persona del cuore. Il kit star venduto sul sito contiene un ciondolo inciso con la costellazione della stella che avete ‘battezzato’ e le sue esatte coordinate. Insieme al ciondolo si riceve anche un certificato che convalida il nome della stella.
Insomma, il nome della vostra persona del cuore potrebbe essere inciso per sempre nel cielo, proprio come nelle più belle storie d’amore. Se avete qualcuno che desiderate fare felice non abbiamo dubbi… Regalategli una stella.
photocredit: Groupon
Amici motociclisti: immaginate di salire sulla vostra moto e sfrecciare senza mai dover girare la testa, neanche per guardare gli specchietti! Sono cose che succedono raramente: quando si è in pista, o quando si trova una strada completamente sgombra.
Oppure succede quando si indossa Skully P1, il casco della startup californiana Skully, nata nella Silicon Valley nel 2013.
Questo straordinario oggetto ha già conquistato l’approvazione globale, l’encomio degli appassionati di hi-tech e di motociclismo, e un premio di tutto rispetto, il DEMO God Award del DEMO 2013, la sfida californiana per le startup più innovative.
Il casco a realtà aumentata Skully P1 è dotato di una fotocamera posteriore che riprende la strada a 180 gradi e invia il flusso video a un head-up display, un piccolo riquadro che appare in basso a destra sulla visiera. In altre parole: guardando normalmente la strada è possibile anche vedere direttamente sul casco tutto ciò che accade alle spalle e ai lati, con una visuale a 360 gradi.
Il sistema è ben integrato particolarmente anche con i dispositivi Android, e funziona perfettamente con qualsiasi cellulare dotato di tecnologia Bluetooth. I comandi vocali permettono di telefonare, ascoltare musica e avere informazioni su meteo e condizioni del traffico. Naturalmente non manca il GPS che proietta le informazioni di geolocalizzazione direttamente sulla visiera.
Ognuna di queste funzioni viene proiettata a richiesta sulla visiera digitale del casco, e l’utente può ovviamente scegliere di tenere anche la schermata totalmente libera, oppure di mantenere aperta solo qualcuna delle funzionalità nei pratici riquadri laterali.
Peraltro, secondo il materiale informativo fornito dall’azienda, il display digitale proiettato sulla visiera non appare appena si indossa il casco, ma solo quando si sono già percorsi almeno sei metri alla guida, ovvero quando il motociclista potrebbe avere necessità di adoperare le funzionalità aggiuntive.
Ma come viene alimentato? Persino la batteria è un gioiello. Si tratta infatti di una batteria a ioni di litio che garantisce otto ore di autonomia e si ricarica tramite micro USB.
Nemmeno un difetto per questo accessorio futuristico? In realtà il P1 è ancora un prototipo che, speriamo, potrà presto vedere la luce: sarà necessario testarlo in condizioni di guida prolungate per valutare realmente l’accessorio. Pare che sul sito dell’azienda stiano già raccogliendo adesioni per i primi test, e indiscrezioni suggeriscono che lo sbarco sul mercato avverrà già nell 2014.
I nostri dubbi riguardano principalmente la questione della sicurezza. E’ infatti probabile che ci voglia del tempo per abituarsi a questo tipo di visione, e diversi appassionati tra blogger e influencer della rete si sono dichiarati scettici a riguardo. La domanda ricorrente riguarda la riproduzione delle informazioni sulla visiera che, per quanto utili, si presentano di fatto come momenti di distrazione, che in moto potrebbero trasformarsi in pericoli.
Oltre alla sicurezza nelle situazioni di guida reale, un’altra incognita è rappresentata dal prezzo: la start up californiana che lo produce infatti non ha ancora rilasciato dichiarazioni a riguardo ma, data l’avanzata tecnologia impiegata, crediamo che, almeno all’inizio, il casco a realtà aumentata non sarà esattamente alla portata di tutti.
photocredit: Wired