Grazie al social sharing di servizi, oggi è ancora più facile organizzare delle vacanze low cost, specialmente in vista dell’estate: BlaBlaCar ad esempio per tagliare i costi di viaggio e servizi come AirBnB e Couchsurfing per risparmiare sull’alloggio.
Ma da qualche anno esiste anche il “nightswapping”: è lo “scambio di notti”. Si mette a disposizione la propria casa per il pernottamento e si ottengono in cambio altri pernottamenti di cui poter usufruire in altre località di tutto il mondo!
Anche chi è locatario può effettuare “nightswapping”: infatti viene considerato come un prestito e non come subaffitto, dato che non essendoci un pagamento in denaro è come se si ospitasse un parente o un amico.
Nello specifico, ci sono tre modi di fare “scambio notti”. Il primo: ospitare qualcuno mentre si è in casa; il secondo: si pernotta da un membro della community mentre lui soggiorna a casa nostra, facendo uno scambio contemporaneo; infine il terzo: si alloggia in un’abitazione mentre il proprietario è fuori casa.
L’idea è nata da una start-up francese con base a Lione, creata da Serge Duriavig, 39enne francese ed ex direttore associato di SmartBox. La piattaforma è stata lanciata nel 2012 e ad oggi conta 10.000 alloggi registrati mettendo in contatto già oltre 60.000 membri in 130 paesi.
In questo concetto nuovo di scambio, la moneta virtuale utilizzata è quindi la “notte”. Ma non tutti gli alloggi avranno lo stesso valore: l’ospitalità è calcolata attraverso un algoritmo che dà diritto a un numero diverso di notti come pagamento, che sono poi spendibili tra tutti gli utenti del sito e non per forza da coloro che abbiamo ospitato. L’algoritmo prende in considerazione 5 criteri: il tipo di sistemazione, la superficie, il livello di comfort, il numero di stanze disponibili e l’attrazione turistica della tua città.
“Così, un membro che propone un appartamento piccolo può soggiornare in un castello, ma per un numero minore di notti. Altrimenti, potrà soggiornare più tempo in un alloggio più modesto del suo” (nightswapping.com).
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Partiamo da una precisazione terminologica: la terminologia corretta da utilizzare è quella di ‘auto storiche’ e non ‘d’epoca’, poiché quest’ultime sono considerate dalle assicurazioni quelle radiate dal Pra, i cimeli da museo o i mezzi destinati a circolare solo in determinate manifestazioni dietro autorizzazione specifica.
Inoltre, va specificato che sono considerate auto storiche quei veicoli con più di 20 anni, iscritti all’Asi.
Ci sono vantaggi dunque per queste auto ‘vintage’ e per questo tanto affascinanti?
E’ possibile usufruire di vantaggi assicurativi molto convenienti per queste auto e competitivi rispetto alle polizze tradizionali.
Anzitutto, l’auto storica non accede alla classe di merito del tipo bonus-malus ma acquisisce una classe di merito fissa.
Un’altra agevolazione è quella del riconoscimento della guida libera (anche se non da parte di tutte le compagnie), cioè il fatto che chiunque può mettersi al volante del mezzo.
C’è una soluzione specifica anche per chi è tanto appassionato da essere un collezionista di queste auto: per quanti hanno una collezione di auto storiche, infatti, le assicurazioni prevedono la “formula garage” con la quale si può assicurare l’intero parco a propria disposizione, beneficiando di prezzi molto competitivi poiché al premio su un mezzo si sommano delle quote minime per ciascun veicolo aggiuntivo.
Tuttavia, è possibile accedere ai benefici concessi dalle assicurazioni per le auto storiche anche in presenza di un veicolo che abbia oltre trent’anni di anzianità dalla data di immatricolazione e non iscritto ad alcun registro storico.
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Se fino a qualche anno fa sarebbe sembrato futuristico, adesso il termine “stampante 3D” è entrato nel nostro linguaggio comune. Ne leggiamo su internet e le vediamo a fiere e manifestazioni: i loro utilizzi diventano sempre più svariati, dal campo del design a quello alimentare, a quello spaziale e a quello medicale.
Cos’è una stampante 3D? per chi ancora non lo sapesse, si tratta di un tipo di stampante che consente di creare oggetti solidi in tre dimensioni partendo da un modello digitale. È una forma di produzione ‘additiva’ in quanto l’oggetto è creato sovrapponendo strati di materiali successivi; al contrario del processo sottrattivo che invece rimuove materiale per creare forme (come può essere nella classica lavorazione del legno e del marmo per esempio).
Come per ogni novità, è già cominciata la gara agli utilizzi più originali: c’è chi ad esempio è riuscito a creare l’oggetto più piccolo al mondo stampato in 3D. Lance Abernethy, un ingegnere col pallino per le miniature, ha realizzato una riproduzione esatta di un trapano, che misura meno di 2×2 cm… ed è perfettamente funzionante, azionabile tramite un minuscolo bottone! Il tutto è stato stampato in 3 ore e poi meticolosamente assemblato. Guardate qui: https://youtu.be/gTb9FtcpVoI.
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A poche settimane dal lancio dell’iWatch, l’ultimo visionario prodotto di casa Apple, si affollano i rumors su un progetto ancora più sorprendente che aprirebbe nuove ‘strade’ (letteralmente) al potente marchio della Mela.
La notizia di una possibile “Apple Car” rimbalza da una testata all’altra, raccogliendo dettagli, impressioni e opinioni: tra le ultime indiscrezioni si parla anche di un coinvolgimento di BMW come partner tecnico per lo sviluppo.
Mentre continua la caccia alla news più fresca sull’argomento, CarWow ha concepito un’ipotesi grafica di come potrebbe essere la prima vettura Apple, immaginandola come una coupé.
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Abitava in un palazzo signorile di piazza Carlo Felice, nel centro geografico e sociologico della ‘Torino bene’ e nel 1954, anno della sua morte, guidava ancora. La chiamavano ‘la signorina al volante’.
Ernestina Prola è l’eroina ‘sconosciuta’ dell’emancipazione femminile sulle 4 ruote in Italia: fu infatti la prima donna italiana ad ottenere la patente di guida. Nel 1907 aveva 31 anni, e complice l’ambiente moderno e progressista della Torino industriale, riuscì ad ottenere l’ambito documento che le permetteva di usare i primissimi veicoli a motore circolanti all’epoca, spesso prodotti proprio nelle fabbriche torinesi.
Come ben descritto nella foto d’epoca che la ritrae al volante, la signorina Ernestina era ‘chauffeuse della scuola di Torino’.
Per comprendere la ‘temerarietà’ del gesto, è bene ricordare che all’epoca le donne non avevano ancora ottenuto nemmeno il diritto di voto, che arriverà soltanto nel 1919 per le inglesi e le americane, molto più tardi in tutti gli altri paesi europei (spesso solo dopo la seconda guerra mondiale).
In quegli stessi anni le donne si affacciano al mondo del lavoro professionale, abbandonando le mura domestiche che le avevano forse protette, sicuramente rinchiuse, fino ad allora: anche in questo caso, Torino è la città con il maggior numero di donne ‘professioniste’, contando già decine di professoresse, medici, avvocati.
Una volta ‘aperta la strada’ dalle prime pioniere delle 4 ruote, non ci sono più limiti a quello che una donna può fare al volante. Negli USA, già nel 1909 la giovane Alice Ramsey guidava per 3.800 km da una costa all’altra degli Stati Uniti, in solitaria e su strade quasi completamente sterrate.
Poco dopo, durante la prima guerra mondiale, la patente servirà spesso alle donne per sostituire gli uomini, lontani al fronte, sui luoghi di lavoro: ultime prove di ‘indipendenza’ prima dell’inizio della vera età dell’emancipazione.
Soltanto una generazione dopo quella di Ernestina Prola e Alice Ramsey, le donne al volante raggiungevano già percentuali del 20-30% in diversi stati del Nord America.
Curiosamente, l’indipendenza ‘al volante’, nel corso della storia, sembra sempre precedere le conquiste più importanti sul piano dell’emancipazione femminile, come il diritto di voto, l’equiparazione dei diritti delle donne a quelli degli uomini, l’accesso a ruoli e servizi in precedenza riservati ai soli uomini.
Non a caso, anche nel nostro presente, le donne saudite fanno della questione ‘patente’ un punto fondamentale nel loro percorso di emancipazione, rischiando di fatto la prigione per ogni viaggio al volante della loro auto.
La libertà di muoversi e spostarsi in autonomia è spesso il prerequisito per conquistare nuove libertà e indipendenze, e crea le condizioni minime per conseguire obiettivi di studio e di lavoro, oppure seguire lo sviluppo di proprie iniziative imprenditoriali. Una storia che si ripete sempre uguale e sempre diversa, da un secolo a questa parte.
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Da un capo all’altro del mondo ci sono tanti modi e tante insolite tradizioni per festeggiarlo.
Facciamo un breve giro del mondo in 10 punti per conoscere alcune di queste usanze!
- Estonia: si mangia sette volte a Capodanno per assicurarsi l’abbondanza nel nuovo anno.
- Scozia: la persona che per prima varca la soglia di una casa nel nuovo anno deve portare un regalo.
- Irlanda: si colpiscono i muri col pane per scacciare gli spiriti maligni.
- Romania: gli agricoltori cercano di comunicare con le mucche; se ci riescono, tuttavia, vuol dire sfortuna per il nuovo anno.
- Danimarca: si sale sulle sedie per poi “saltare” giù nel nuovo anno.
- Bolivia: si preparano torte con un ‘ripieno’ di vere monete, chi le trova avrà fortuna per tutto il nuovo anno.
- Svizzera: si celebra il nuovo anno facendo cadere il gelato sul pavimento di casa.
- Giappone: si suonano le campane dei templi 108 volte secondo la convinzione buddhista che questo rito porti “purificazione”; inoltre è considerato di buon auspicio sorridere al nuovo anno per ottenere fortuna.
- Sud America: si usa indossare biancheria intima colorata, associando a ogni colore un “dono”: il rosso porterà l’amore, il giallo la salute, il bianco la pace.
- Spagna: secondo una credenza popolare, se si riesce a tenere in bocca 12 chicchi d’uva allora si avrà fortuna per il nuovo anno.
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Tacchini supersize e zucche arancioni.
È la festa più sentita negli Stati Uniti e anche in Italia è entrata nell’immaginario collettivo soprattutto grazie alla televisione: la Festa del Ringraziamento affonda le radici nel periodo dei Padri Pellegrini. Nel 1620 un gruppo di separatisti della Chiesa anglicana sbarcò nel Nuovo Mondo. Si trattava di un centinaio di profughi religiosi passati poi alla storia con il nome di “Padri Pellegrini”, che si stabilirono nei pressi dell’attuale Massachusetts. A causa del duro inverno e della mancanza di viveri, metà della colonia non sopravvisse al primo inverno.
La primavera seguente furono i nativi indiani a insegnare loro come cacciare, pescare e a coltivare mais e altre colture in quella terra sconosciuta. Da qui nacque l’occasione per organizzare una festa di ringraziamento verso gli indiani che li avevano aiutati, i quali portarono in offerta dei tacchini. Questa “festa del ringraziamento” divenne una ricorrenza celebrata anche negli anni seguenti per festeggiare il raccolto autunnale.
Ai primi del ‘900, cominciarono a diffondersi testimonianze e leggende relative ai quei primi giorni di festeggiamento e rappresentazioni che illustravano Nativi americani e Padri Pellegrini assieme. È così che oggi è impossibile non visualizzare mentalmente questi personaggi insieme a tacchini quando si pensa a questa festività!
Con l’Indipendenza americana venne stabilito ufficialmente il giorno del Ringraziamento: George Washington lo stabilì per il 26 novembre. Ma fu durante la presidenza di Abramo Lincoln che la festa assunse carattere nazionale e venne fissata all’ultimo giovedì del mese.
Questa festa è oggi occasione per le famiglie americane di riunirsi e ringraziare assieme per quanto si possiede. Inoltre, c’è un forte spirito caritatevole e infatti le associazioni in questa giornata offrono pasti ai senzatetto. La celebrazione prevede di consumare un pasto ispirato a quello dei primi coloni: ossia tacchino, mais, patate, zucche e salsa di mirtilli.
Oggi la festa è contrassegnata anche da una sontuosa parata che avviene a New York, dove la gente si concentra in massa anche per dar inizio allo shopping natalizio, dato il periodo, e che culmina con l’inaugurazione dell’enorme albero di Natale al Rockefeller Center la sera del 30 novembre.
Se vi trovate da quelle parti in quei giorni, sapete cosa vedere. Altrimenti, se restate in Italia, ecco come ricreare la festa a casa vostra con la ricetta della torta alla zucca che conclude tradizionalmente il pranzo del Ringraziamento!
Ingredienti
- 175 gr di zucca bollita e ridotta a purè
- 100 gr di zucchero
- 1 cucchiaino di sale
- 1 cucchiaino di cannella
- 1 cucchiaino di zenzero in polvere (o fresco)
- 1 pizzico di noce moscata
- 1 cucchiaio di farina
- 2 uova
- 1 tazza di latte
- 2 cucchiai di latte
- 1 base di pastafrolla per dolci confezionata
- panna montata
Procedimento
Unite zucca, zucchero, sale, spezie e farina in una ciotola. Aggiungete quindi le uova miscelando bene il tutto. A questo punto versate il latte e l’acqua. Se il composto vi sembra troppo liquido aggiungete ancora un cucchiaio di farina.
Versate il composto nella base di pastafrolla e cuocete per 15 minuti circa a 250°, poi abbassate la temperatura a 200° e fate cuocere per circa mezzora.
Buon appetito e buona Festa del Ringraziamento!
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“Incivili digitali”: li incontriamo tutti i giorni e, forse, anche noi ne facciamo parte.
Uno studio italiano ne ha tracciato l’identikit. La maggior parte è composta da adulti tra i 35 e i 50 anni, seguiti da giovani della fascia 18-25 anni. Sono per lo più uomini. Il 66% utilizza lo smartphone durante l’orario di lavoro, il 58% è costantemente connesso al proprio cellulare e il 55% non si cura di abbassare il volume della suoneria.
I posti che sono principalmente teatro di questa “maleducazione digitale” sono: ufficio, mezzi pubblici e camera da letto.
Tra uomini e donne cambiano i comportamenti meno tollerati: gli uomini non sopportano l’utilizzo dello smartphone durante le riunioni, stare appiccicati al cellulare per molto tempo e l’invio ‘a raffica’ di messaggi da parte della propria compagna.
Le donne invece non tollerano la suoneria ad alto volume in spiaggia o sui mezzi pubblici, chi utilizza il telefono durante i pasti e gli uomini che controllano costantemente le notizie sportive.
Ecco i profili più comuni degli “incivili digitali”:
- Quelli che… passano più della metà della giornata a leggere e condividere sui social, senza rendersi conto di ciò che gli accade attorno;
- Quelli che… smanettano costantemente con lo smartphone, in strada, in ufficio, nel traffico;
- Quelli che… tengono il volume altissimo e parlano al telefono quasi gridando, come se dovessero comunicare con la Luna;
- Quelli che… tartassano di messaggi le proprie prede online;
- Quelli che… invitano tutti i propri contatti a partecipare agli eventi, segnalano ogni promozione che incontrano e taggano amici e conoscenti nelle foto sui social network.
Quando la Mobile Incivility invade il campo della guida al volante diventa anche un serio pericolo per la sicurezza stradale. Ad esempio, è una moda crescente scattarsi selfie alla guida: secondo una ricerca Ford, in Italia un giovane su quattro lo fa abitualmente.
Sono anche state fatte campagne dedicate all’abitudine di scrivere sms al volante, rischiando la propria sicurezza e quella degli altri, come questo famoso spot di Volkswagen: https://www.youtube.com/watch?v=JHixeIr_6BM .
Il fenomeno degli “incivili digitali” è così diffuso che è stata inventata una parola, phubbing, che indica proprio “l’azione di chi snobba qualcuno, guardando il proprio cellulare invece di prestargli attenzione”.
Sul sito http://stopphubbing.com/ è possibile inviare una email scherzosa a un amico per richiamarlo e farlo riflettere su questo atteggiamento.
Voi avete in mente a chi potreste mandarla?
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L’autunno è il momento ideale per fare viaggi del buon gusto, lasciandosi alle spalle il mare e le spiagge. La tradizione gastronomica italiana rende possibile coniugare altissima qualità dei piatti con un approccio schietto e familiare nel servizio al cliente: ecco perché le osterie non solo resistono al passare del tempo e delle mode ma sono oggi considerate i baluardi del made in Italy gastronomico.
Ecco una nostra selezione che tiene conto non solo della buona cucina tradizionale, ma anche dell’atmosfera semplice e cordiale… come si usava ‘una volta’.
Bologna – “Antica Trattoria della Gigina”
Tagliatelle al ragù, tortellini in brodo e lasagne al forno: questi i piatti forti del locale, suddiviso in salette. Fu fondato cinquant’anni fa dalla mitica Aldina Fava (detta Gigina, da cui il nome del locale), esperta di sfoglie di pasta fresca e profumati ragù. Completano il menù 300 etichette che compongono la Carta dei Vini della trattoria.
Milano – “Trattoria Masuelli”
Un locale storico di Milano che coniuga cibo genuino e arredamento anni ‘20-‘30. Fondata proprio negli anni ‘20 dall’omonima famiglia, la trattoria tramanda le migliori pietanze della tradizione culinaria milanese e piemontese: tra le specialità, la pasta e fagioli “con il cucchiaio in piedi”, il vitello tonnato con fiori di capperi e l’immancabile cotoletta alla milanese.
Firenze – “Omero”
Personaggi come Mastroianni, Sordi e Bertolucci si sono seduti ai tavoli di questa trattoria che gode di una strepitosa vista sulle colline fiorentine. Il menù offre il meglio della cucina tradizionale toscana, legato ai prodotti di stagione e i migliori Oli Extravergini DOP. Tra le specialità della casa: pollo fritto alla fiorentina, tagliata di manzo con rucola e pollo schiacciato alla griglia.
Roma – “Sora Margherita”
Un locale che ricorda le ambientazioni dei film di Totò, col suo ambiente rustico, inserito nel contesto caratteristico del Ghetto romano. Immancabili gli agnolotti cacio e pepe. Pochi tavoli, da condividere con altra gente, e vietato pagare con carta di credito!
Capri – “Trattoria Da Paolino”
Locale di lusso, pur trattandosi di una “osteria”: di proprietà dell’omonima famiglia, è il più famoso dell’isola, anche per il suo caratteristico tetto di limoni. Nonostante la clientela VIP (sono passati da lì personaggi del calibro di Richard Gere, Nicolas Cage, Eddie Murphy, Tom Cruise, e molti altri) propone ancora oggi i piatti originali del menù di sessant’anni fa, come la “Bomba Paolino”, un panzerotto fritto ripieno di mozzarella e prosciutto cotto, o i ravioli capresi al pomodoro fresco e basilico.
…e infine, l’osteria più ‘bizzarra’:
Roma – “Osteria Cencio La Parolaccia”
Fondato nel 1941 in zona Trastevere, non è adatto ai “permalosi”: infatti, è famoso per gli insulti e parolacce rivolti ai clienti dal personale. A ogni piatto, i camerieri fanno apprezzamenti goliardici e il pasto è accompagnato da animazione con chitarra e fisarmonica con stornelli vernacolari romani. L’arredamento e le portate ricordano la tipica osteria romana “de’ noantri”.
Buon divertimento e buon appetito!
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Nonostante sia oggi considerata una ricorrenza ‘tipica’ della cultura statunitense, in realtà la festa di Halloween ha origini europee.
La festa affonda le radici nel Nord Europa, quando i primi freddi annunciano la fine della bella stagione e l’inizio dell’inverno: i Celti la chiamavano “Samhain”, e la festeggiavano nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre. La parola in gaelico antico significa appunto “fine dell’estate” e con essa si festeggiava l’ultimo raccolto, quello che si sperava fosse abbondante perché doveva sostentare il rigido inverno a venire.
Come si vede, non c’è alcun “dio delle tenebre” e nessun rito oscuro legato al “Samhain”. Il nome moderno Halloween deriva dall’inglese “All Hallows Eve” e cioè “notte di tutti gli spiriti”, dove per “hallow” è inteso come “santo” o “sacro”, così come era considerato lo spirito del defunto nel paganesimo.
Quando la Chiesa Cattolica decise di sostituire la propria festa con quella pagana, vi sovrappose quella di Ognissanti (ovvero dei morti ‘santi’), mentre quella dei morti “non santi” fu fissata al 2 novembre.
E le zucche, cosa c’entrano?
Gli antichi infilavano una candela in una rapa e la esponevano per aiutare gli spiriti dei defunti a ritrovare la strada di casa. Molti anni più tardi, quando i primi coloni inglesi migrarono in America, non avendo a disposizione le rape, le sostituirono con le zucche americane. Infatti la versione originale della leggenda di Jack O’ Lantern lo vede condannato a vagare di notte con una rapa-porta candela; in seguito il protagonista è stato rappresentato come un uomo trasformato con la testa di zucca dal Diavolo, come maledizione per averlo ingannato. Con le zucche si inserì un altro elemento caratteristico: dato che erano molto grandi potevano anche essere intagliate con facce buffe o spaventose per scacciare gli spiriti cattivi.
Un’altra tradizione, giunta fino ai giorni nostri e attiva anche in Italia, è quella del cibo rituale: si preparavano lauti banchetti per propiziare il raccolto e per onorare i defunti aggiungendo un posto vuoto a tavola. La tradizione del cibo propiziatorio è viva tuttora e ad esempio in tutta Italia esistono dolcetti come “Pan dei Morti”, “Ossa dei Morti”, e così via.
L’antica Samhain celtica era una festa molto sentita: chiudeva un ciclo e ne apriva un altro come una sorta di capodanno, e c’era la credenza che proprio quella notte i confini tra i mondi si facessero più sottili: infatti i Celti credevano nell’“intrusione” degli spiriti defunti nel mondo.
La festa era così importante che chi non la osservava veniva in qualche modo emarginato dalla società: a chi non offriva nulla per gli spiriti, venivano imbrattati i vetri di casa. Ed ecco da dove viene l’ormai celebre “Trick or Treat?”, che infatti significa “Inganno o offerta?”, trasformatosi poi italiano “Dolcetto o scherzetto?”.
Ma perché ci si traveste ad Halloween?
I contadini irlandesi e scozzesi credevano che gli spiriti dei defunti malvagi potessero fargli del male e per questo si vestivano da mostri, orchi, fantasmi e altri personaggi terrificanti della loro tradizione. Oggi Halloween è di fatto una versione americana del nostro Carnevale europeo e non ci si traveste per terrorizzare gli amici, ma anche interpretando personaggi famosi.
Qualunque sia il vostro travestimento, vi auguriamo un Halloween ‘spaventoso’!